Il Capoluogo - Pray
Il nome Pray deriva dalla parola Prata Cozolae, si trattava infatti di una zona in parte collinare e in parte pianeggiante, quasi interamente a prato, appartenente al territorio di Coggiola.
L’attuale comune è risultato dall’unione, nel 1928, dei tre comuni di Flecchia, Pianceri e appunto Pray.
Flecchia è già citata in un atto di divisione tra i signori Bulgaro del 1227. Dopo il saccheggio Dolciniano e la successiva evacuazione nel 1306, fu ricostruita e ottenne, nel XV secolo, l’indipendenza da Crevacuore, sia religiosa (la parrocchia è del 1438) che amministrativa (Statuti del 1480).
Pianceri e Pray alto rimasero a lungo borgate di Crevacuore e Coggiola e divennero comuni autonomi solo attorno al 1740, un secolo dopo l’ottenimento delle rispettive parrocchie.
Flecchia e Pianceri, legati a Crevacuore, rimasero assoggettati al marchesato dei Ferrero Fieschi fino al 1741, mentre Pray, territorio di Coggiola, era possedimento sabaudo già dal XIV secolo. L’industrializzazione del secondo Ottocento modificò radicalmente paesaggio, economia, società: il fondovalle venne rapidamente urbanizzato, sorsero i grandi stabilimenti tessili, vennero costruite strade e la ferrovia Grignasco-Coggiola, e la popolazione aumentò considerevolmente, mentre le attività agro-pastorali (coltivazione di canapa, cereali poveri, alberi da frutta integrata con l’allevamento bovino) si contrassero.
Grandi scioperi operai tra Otto e Novecento portarono alla conquista di condizioni di lavoro e salariali tra le più avanzate del Biellese. Il primo dopoguerra e il ventennio fascista provocarono tensioni, violenze, forzate emigrazioni, ma videro anche le prime ondate di immigrazione dai paesi della bassa vercellese e dal Veneto, seguite nel secondo dopoguerra da altre provenienti dalle regioni meridionali.
Negli ultimi decenni si è registrato un sensibile calo demografico, la crisi di alcune importanti industrie, la perdita di molti posti di lavoro ma anche l’incremento del terziario e un rinnovato impianto urbanistico.
Tra le costruzioni degne di nota nel territorio di Pray sono l’oratorio di S. Maria Assunta, eretto attorno al 1200 (fu la prima parrocchiale di Coggiola), il palazzo Riccio a Flecchia (splendido palazzo secentesco), il Santuario del Guarnero a Pianceri (affreschi del primo Cinquecento), e infine la “Fabbrica della ruota” di Vallefredda, un opificio ottocentesco oggi sede museale.
L'Oratorio Dell'Assunta

Nei secoli immediatamente successivi al Mille, quando questa zona cominciò ad essere popolata stabilmente da gruppi di contadini che conquistarono faticosamente spazio alla foresta, l’area dove oggi sorge l’abitato di Pray rimase disabitata, mentre gli insediamenti si concentrarono sulle alture collinari di entrambe le rive del Sessera. In mezzo alla distesa di prati venne eretta, probabilmente attorno al 1200, la prima cappella della parte di Valsessera superiore a Crevacuore, con funzioni di parrocchiale per la comunità di Coggiola e dipendente dalla Pieve di Naula.
Anche se i documenti giunti sino a noi iniziano a ricordarla solo all’inizio del XVII secolo, la sua antichità è testimoniata dai resti della base absidale semicircolare, formata all’esterno da grosse pietre del Sessera, che ricordano l’arte romanica dei secoli XII-XIII.
La visita pastorale del 1606 la descrive pavimentata ma senza soffitto, con due finestrelle laterali, con un altare piccolo e alquanto umile sormontato da una statua lignea della Madonna, priva di suppellettili e ornamenti ma con la facciata arricchita da dipinti sacri. Completano il quadro descrittivo i verbali delle successive visite pastorali del 1661 e del 1665. Essi confermano la sua origine di Chiesa parrocchiale di Coggiola, l’esistenza di un piccolo cimitero all’esterno e la presenza di dipinti, oltre che sulla facciata, anche nell’abside.
Fino al 1747 l’oratorio conservò l’antico aspetto e, al suo interno, la statua taumaturgica della Madonna.
Subito dopo venne ricostruito nelle forme attuali. Infatti nel 1752 sono documentate le spese per pagare i mastri da muro “per l’innalzamento di detto oratorio”, “per fattura della porta al mastro falegname”, “per compra di quatro candelieri di l’ottone comprati a Milano”.
Nel 1754, dopo questo rifacimento, veniva così descritta: “L’oratorio di Maria Assunta è di struttura piccola, col pavimento in calcina, fatta a volta, stabilita e bianca, con un sol altare …, al di fuori con la facciata bianca e all’intonaco rustica”.
Ulteriori lavori vennero eseguiti nel 1780, nel 1790 e nel 1846. Il medico coggiolese Pietro Paolo Aimone – padre di don Giovanni Antonio e Paolo, proprietari degli unici due edifici allora esistenti nelle vicinanze dell’oratorio, ossia il lanificio e la casa che sarebbero passati nel 1863 ai Lora Totino -, donò una nuova statua della Madonna, scolpita in legno dal falegname-scultore Zaninetti di Crevacuore.
L’anno successivo venne anche rifatto il piccolo campanile.
Sulla facciata esterna, a sinistra della porta d’ingresso, è stata di recente rinvenuta sotto lo strato di intonaco uno degli antichi affreschi di cui si parla nelle visite pastorali seicentesche, una Madonna che allatta il Bambino. Il restauro è stato realizzato su iniziativa del DocBi e con il contributo della Pro Loco di Pray. oltre a rimuovere completamente l’intonaco, a pulire e consolidare le figure dell’affresco, il restauro ha operato dei tagli stratigrafici in vari punti della facciata, consentendo di individuare altre tracce di pittura.
L’affresco restaurato è opera di scuola piemontese della seconda metà del Quattrocento. L’iconografia della Madonna che allatta il Bambino o “Madonna del latte”, come viene comunemente chiamata, fu molto diffusa a partire dal XIV secolo fino alla seconda metà del XVI e aveva il significato di invocazione per ottenere la protezione della Madre di Dio in occasione del parto e del successivo periodo di allattamento.
Anche nel Biellese non mancano gli esempi di tale iconografia, raffigurata a Oropa, a Occhieppo Inferiore, a Lessona, a Biella e, più vicino a noi, a Crevacuore. Qui esistono due “Madonne del latte” dell’inizio Cinquecento in Santa Maria delle Grazie e un altro dipinto dello stesso soggetto conservato nella stupenda chiesetta di San Gregorio.
