Posta su un colle da
cui si gode una splendida vista sul medio corso del torrente Sessera,
è una delle frazioni più antiche, più caratteristiche
dal punto di vista urbanistico e più popolose dell'ex comune
di Flecchia.
Le visite pastorali testimoniano fin dalla seconda metà del
Cinquecento l'esistenza di un oratorio (dedicato inizialmente a
S. Maria e poi, in omaggio ai numerosi lavoratori edili, anche a
S. Giulio) con volta dipinta, tetto in tegole e antichi affreschi
sul portale.
A quell'epoca la popolazione residente era di circa 60 persone,
cresciute fino a oltre 200 agli inizi del Novecento, quando gran
parte degli abitanti divennero operai tessli e si avvicinarono ai
partiti e ai sindacati socialisti, facendo di Mucengo la frazione
"rossa" per antonomasia.
La forte coesione sociale e politica portò alla fondazione
della Cooperativa e all'istituzione di una scuola serale mista,
rimasta attiva fino a pochi decenni fa.
A poco più di un Km, in località Vallefredda, a fine
Ottocento sorsero alcuni opifici industriali, primo tra tutti il
Lanificio Zignone, da tutti conosciuto come "Fabbrica della
ruota", presso cui molti abitanti della frazione trovarono
occupazione come operai.
Oggi la "Fabbrica della ruota", restaurata e rifunzionalizzata
con finalità culturali, fa parte del sistema ecomuseale biellese
e rappresenta un unicum, non solo biellese, per aver conservato
integro il sistema di trasmissione telodinamico dell'energia.
La Fabbrica della Ruota
Cenni storici
La storia della "Fabbrica della ruota"
- il cui nome, forse è utile ricordarlo, è dovuto
alla grossa ruota metallica che sporge dal fianco orientale dell'edificio,
cui si connettono all'esterno la lunga fune d'acciaio che collega
alla turbina e all'interno l'albero di trasmissione -, inizia nel
1877, quando la ditta "Zignone Pietro e fratelli" operante
a Trivero in frazione Cereie decise di seguire l'esempio di altre
famiglie di piccoli imprenditori triveresi che negli anni precedenti
erano scesi a valle e di costruire un nuovo opificio lungo il corso
del torrente Ponzone, in territorio del comune di Flecchia.
In quell'anno venne infatti presentata domanda "per poter derivare
una condotta d'acqua dal torrente Ponzone per uso di forza motrice
destinata a dare moto ad un opificio laniero", su progetto
dell'ingegner Maglioli di Biella.
Il posto prescelto era strategico perché si trovava a poca
distanza dalla confluenza tra il Ponzone e il piccolo Rio Scoldo,
dando la possibilità di utilizzare due derivazioni per aumentare
la portata d'acqua e di conseguenza la potenza motrice. Inoltre
era proprio di quegli anni la costruzione del tratto Crocemosso-Pray
della strada provinciale "Biella-Valsesia", il che significava
rapide comunicazioni e agevoli trasporti.
Subito iniziarono i problemi, infatti il comune di Flecchia si oppose
alla domanda in quanto intendeva impiantare, nella stessa località,
"un molino a due macine con pesta da canape".
I tempi erano però tali che nella lotta tra mulino pubblico
e opificio privato il risultato era scontato: le autorità
provinciali favorirono l'investimento imprenditoriale, così
nel 1878 ebbe inizio, e si presume, in mancanza di altra documentazione,
si concluse, la costruzione del lanificio.
I fratelli Zignone - che, tra l'altro, esercitavano già attività
industriale nel comune di Flecchia, affittando alla ditta "Zignone
e Trabaldo" un opificio con tintoria in frazione Solesio -
gestirono insieme l'attività fino al 1896, anno in cui la
proprietà fu acquisita interamente da Carlo. Dopo la sua
improvvisa e prematura morte nel 1900, che lasciò la moglie
Felicita Tonella sola con cinque figli tutti minorenni, il lanificio
venne affittato ad Anselmo Giletti, per poi essere gestito dai figli
di Carlo quando raggiunsero la maturità, per alcuni anni
in società con i fratelli Ferla e poi da soli. Tra una crisi
e un rinnovato slancio - che portò il numero degli occupati,
soprattutto operai di Soprana e Flecchia ma anche di Curino, Portula,
Trivero e Strona, a superare negli anni '30 le 150 unità
- l'attività del lanificio continuò fino all'inizio
degli anni '60.
Nel 1966 l'edificio ormai inattivo venne acquistato da Carlo Beretta
e utilizzato come deposito fino all'alluvione del 1968 che danneggiò
gravemente il piano seminterrato. In passato altre alluvioni avevano
fatto altrettanto, prima tra tutte quella del 1927 che distrusse
parte del magazzino e della tintoria, trascinando a valle alcune
macchine e provocando la temporanea cessazione dell'attività
con la conseguente perdita di 70 posti di lavoro. Come allora, anche
dopo la terribile alluvione del novembre 1968 l'edificio fu riparato
ma tornò in qualche modo a rivivere solo nel 1984 quando,
dopo due anni di lavoro, vi venne allestita una mostra intitolata
"Archeologia Industriale in Valsessera e Valle Strona".
Fu proprio in seguito a questa iniziativa che sorse il DocBi, Centro
per la documentazione e la tutela della cultura biellese, cui nel
1992 Carlo Beretta ha donato l'intera fabbrica, a riconoscimento
del lavoro profuso dall'associazione per la conservazione e la valorizzazione
dell'edificio.
Passo dopo passo, grazie ai contributi di enti privati e della Regione
Piemonte, il DocBi sta recuperando e ridestinando tutti i piani
del fabbricato con l'obiettivo, già in parte concretamente
realizzato, di fare della "Fabbrica della ruota" il luogo
in cui fisicamente si conserva la memoria dell'industrializzazione
tessile biellese grazie a mostre permanenti o temporanee, sale conferenze,
archivi industriali, centro raccolta macchinari e dati, oltre naturalmente
alla fabbrica stessa che con la sua struttura verticale, i suoi
saloni a volta e il sistema di trasmissione teledinamica integralmente
conservato - fatta eccezione per il canale di derivazione d'acqua
dal torrente oggi quasi del tutto irriconoscibile - costituisce
un unicum di straordinario valore documentario.
Ricerche storiche ed Etnografiche: Prof.
Marcello Vaudano